Gigi e l’argine

In questa “foto ricordo”, fatta di immagini ovattate dalla nebbia, Gigi ci porta a scoprile che l’argine tra realtà e immaginazione è davvero molto flebile.

In questo podcast facciamo una passeggiata nel tempo, quando negli inverni freddi e umidi, Milano e la sua periferia venivano avvolte dalla nebbia.

La chiamavano: “scighera” perché, densa come ovatta, bagnava viso e capelli se ci camminavi dentro.

Anche con quelle condizioni meteorologiche, dopo il lavoro in fabbrica, quasi tutti si avventuravano in bicicletta per raggiungere il “circolo”.

Si passava davanti alla casa del Mario il macellaio, alla casa del Luigi che vendeva legna, per poi arrivare al circolo della bocciofila della Rosa.

Nelle periferie lombarde, gli argini dei canali disegnavano piccoli appezzamenti coltivati.

Ma anche da rigagnoli, ruscelli, solchi e terrapieni che venivano costruiti per bonificare il terreno e renderlo coltivabile.

Gigi percorreva quei sentieri sin da bambino quando con il padre andavano al fiume a pescare o per i boschi a raccogliere erbe selvatiche.

Com’era bello quel periodo,  si raccoglievano noci e more, finocchietto e asparagi selvatici e si faceva festa con tutto.

Quella sera intrisa di nebbia densa, Gigi era più nostalgico del solito e ripensava alle scampagnate sugli argini con suo padre Alberto.

Rientrando verso casa sbagliò sentiero e prese l’argine più lungo che passava dal bosco delle mandorle e dal ponte delle barche.

Ma, per molto tempo, non si rese conto di aver sbagliato strada, concentrato com’era.

In quella campagna invisibile, mentre cercava di andar dritto per non cadere nel canale, accadde qualcosa di inspiegabile.

Sentì in lontananza uno scampanellio di bicicletta e si chiese se fosse reale, e chi potesse essere.

Ma il cigolio della bicicletta che si avvicinava ed era sempre più nitido, finché sentì una voce.

Stai attento ai margini” diceva qualcuno dall’altra parte del bianco buio della nebbia.

“Qui l’argine è magro, meglio che andiamo a piedi” riprese quella voce che, aveva un chè di famigliare.

Quando si incrociarono Gigi non vide in faccio l’uomo ma fu attraversato da una sensazione dolce dalla quale si lasciò avvolgere come se fosse nebbia.

Rimase in silenzio in bilico sull’argine per molto tempo, finche ombre e suoni svanirono nel freddo, lasciandolo solo.

Salì in sella alla sua bicicletta lasciandosi alle spalle quel mondo fatto di campagna e di immaginazione.

Senza saper identificare dove l’una si consegnasse nell’altra.

Il muro di nebbia fitta segnava un confine invalicabile tra realtà, fantasia e sogno.

Dunque fate attenzione agli argini perché, se siamo distratti, può succedere anche a noi di passare dalla realtà a… un’altra cosa!

Testo di: Rossana Mauri

Voce narrante di: Gaia Dellisanti

Foto di TheOtherKev da Pixabay

Musiche: Lobo Loco

Creative commons