GREENWASHING Il danno e la beffa!

Tra i miliardi di messaggi online e offline dai quali veniamo bombardati ogni minuto ci mancava il greenwashing per aumentare la confusione e scoraggiare anche i più volenterosi ad approfondire i temi della sostenibilità.

Il Greenwashing è un neologismo inventato nel 1983 dall’ambientalista Jay Gei Westerveld, che oggi è anche un problema legato alla psicologia collettiva proprio perché sfuggente e difficile da contrastare.

Si tratta di un linguaggio, utilizzato dalle aziende o dalle organizzazioni per proclamare la propria reputazione ecologica, senza che questo corrisponda a un diverso modo di produrre.

In pratica sostanzialmente scelgono materie prime e gestiscono le risorse umane come hanno sempre fatto; cambia solo il linguaggio che usano.

Ecco perché lo consideriamo IL DANNO E LA BEFFA! Beffa per il genere umano, e un danno inestimabile per l’ambiente.

Per le aziende presentarsi come green genera notevoli vantaggi, in termini di consenso e di vendite, ma fare greenwashing è pericolosissimo perché si va incontro a normative Europee penalizzanti.

Inoltre c’è da considerare la perdita di reputazione, com’è già successo in vari casi come vedremo in seguito.

Oggi ho come mia ospite Simona Treré consulente in Strategie e Piani di Sostenibilità Aziendali che ha studiato a fondo questo odiato fenomeno e può aiutarci a fare chiarezza.

Rossana Mauri: Come accennavo Il Greenwashing può essere subdolo e difficile da identificare, come agisce nel nostro subconscio?

Simona Treré: Il greenwashing può presentarsi attraverso diversi livelli di inganno, che possono essere determinati da vari elementi, fra cui ad esempio:

  • L’Omissione (quando non si riportano dati e parti rilevanti allo scopo di nascondere alcuni aspetti, o addirittura la vera natura, della politica aziendale, del prodotto o del servizio)
  • Le Affermazioni vaghe o non dimostrabili (quando non è possibile risalire alle fonti e non poter controllare quanto dimostrato)
  • L’ Esagerazione (far sembrare le caratteristiche di un dato prodotto o servizio più importanti rispetto alla realtà)
  • I Dati inventati e non reali, quindi un inganno totale (mentire riportando caratteristiche non corrispondenti alla realtà)

Rossana Mauri: Abbiamo strumenti per riconoscere se un prodotto è veramente realizzato con criteri di sostenibilità?

O Meglio come possiamo identificare l’operato di un’azienda veramente green?

Simona Treré:  Sì in primis, il consumatore deve stare attento a termini come «naturale», «bio», «eco-friendly» riportati nelle pubblicità e sui prodotti, perché questi non bastano.

Diciture come «impatto zero» e «100% ecologico» devono proprio far drizzare le antenne, visto che non esiste una produzione che possa vantare di avere zero impatto sul pianeta o essere ecologica al 100%.

Ma ci sono poi strumenti che possono aiutare il consumatore a capire se un prodotto o un servizio è realmente green.

Fra questi, protagoniste sono le certificazioni ambientali che possono essere di grande aiuto per riconoscere in poco tempo quale azienda o prodotto si sta osservando

Rossana Mauri: come ci dobbiamo destreggiare tra le certificazioni che sono di diversi tipi e ovviamente ognuna garantisce determinati requisiti.

Ma quali dobbiamo tenere a mente se vogliamo scegliere prodotti in linea con le norme di sostenibilità?

Simona Treré: Sì sono davvero tante e non è sempre semplice per il consumatore destreggiarsi fra queste.

Possono essere innanzitutto di vario tipo, ad esempio c’è da fare una prima distinzione tra quelle di gestione e tra quelle di prodotto.

Le prime, di gestione, sono quelle riguardanti la politica e l’organizzazione aziendale (es. i sistemi di gestione ambientale come EMAS o ISO 14001)

Le seconde, di prodotto, sono ad esempio alcune delle etichette e simboli riportati direttamente sulla confezione.

Tra le più importanti possiamo vedere ad esempio:

  • Ecolabel, una delle più autorevoli, che corrisponde al marchio di qualità ecologica; Ecolabel garantisce un’attenzione sia per l’ambiente sia di un alta qualità.
  • FSCPEFC per carta e legno proveniente da foreste sostenibili quindi materiale stampato, ma anche mobili e materiali di arredo che non ha contribuito alla deforestazione.
  • OEKO-TEXper garantire che un capo d’abbigliamento o altro prodotto tessile non contenga sostanze tossiche dannose per le persone e per l’ambiente.
  • Certificazione Biologica, per un’agricoltura più salutare e sostenibile e che tutela inoltre maggiormente il benessere animale.

Oltre alle certificazione però ci tengo a dire che è necessario, naturalmente nel limite del possibile, tenere sempre in considerazione l’intero ciclo di vita di un prodotto.

Ad esempio, un prodotto può avere il packaging più ecologico del mondo ma all’interno è realizzato attraverso una produzione altamente inquinante o poco efficiente dal punto di vista energetico.

Oppure se proviene dall’altra parte del mondo, con conseguenti alti costi ambientali di trasporto, è chiaro che non può considerarsi effettivamente green.

Rossana Mauri: Anche se casi eclatanti di greenwashing ce ne sono stati e per citare solo quelli del 2022 riprendo un interessante articolo di Robin Hicks pubblicato sulla testata eco-business l’8 dicembre 2022.

Nel quale troviamo alcuni nomi alto sonanti come:

  • I pneumatici Michelin
  • H&M abbigliamento
  • Unilever
  • Deutsche Bank

E addirittura intere nazioni che, attraverso i loro ministri, hanno rilasciato dichiarazioni di eccellenti intenti che però, si sono rivelati greenwashing.

Simona Treré: Sì il caso ENI che ho seguito, anche perché Greenpeace, ha realizzato diversi documenti al riguardo.

Ad esempio, basta guardare il video di ENI/PLENITUDE dove l’azienda fa passare un messaggio in cui sembra totalmente green, quando in realtà sappiamo tutti che è ancora ampiamente focalizzata sul fossile.

Secondo Greenpeace, la quale mi trova assolutamente d’accordo, si tratta di un palese caso di Greenwashing.

Infatti invito tutti ad andare a vedere il video di Greenpeace, Stranger Green che mostra come quello di Plenitude sia un caso evidente di Greenwashing e presa in giro per i consumatori.

Rossana Mauri: Tornando a noi Simona, oggi abbiamo bisogno di catalogare tutto e per ogni nuova sensazione inventiamo terminologie che possono spiazzare i “meno moderni”.

Penso al cittadino comune che si trova di fronte termini come Greenhushing che suona quasi uguale ma ha ben altro significato… ma cosa significa esattamente?

Simona Treré: Sì il catalogare tutto, etichettare tutto spesso fa sentire più sicuri, ma purtroppo più spesso divide.

Se non rientri nella mia categoria allora rientri per forza in un’altra e quindi significa che come individuo sei diverso da me; questo genera prese di posizione, schieramenti da stadio.

Tutto ciò é dettato spesso dal volersi sentire al sicuro o a volte anche solo dal dover dimostrare di avere un’opinione e una collocazione, ma spesso si finisce a etichettare le persone.

Mentre con un sano senso critico, possiamo capire che ci sono migliaia di sfumature, e non solo di bianco e nero.

Ma tornando al green, sì il Greenhushing è uno dei vari termini che stanno ad indicare meglio di che tipo di Greenwashing si tratta.

Se da un lato infatti è dilagante il fenomeno del Greenwashing, dall’altro si inizia ad assistere a un fenomeno quasi contrario ma comunque non positivo: il Greenhushing; il cosiddetto “silenzio verde” delle aziende.

Non dichiarare nulla per eludere le verifiche da parte di investitori, oppure, succede anche che il brand sia davvero e concretamente sostenibile, ma non lo  comunica per paura di essere tacciato di greenwashing.

E questo non va bene perché invece è importante parlare delle buone pratiche e delle aziende sostenibili così da generare processi e contaminazioni virtuose.

Ma oltre a questo ci sono diversi altri termini diciamo strani sul tema e ciascuno di questi indica un tipo di greenwashing specifico.

Dal GREENLABELLING, la cosiddetta etichettatura verde (ma fasulla) ed è tra le pratiche di marketing e greenwashing più note e al momento la forma più diffusa.

Il GREENLIGHTING, cioè promuovere un solo prodotto ecologico dell’azienda per nascondere il vero impatto ambientale degli altri prodotti e dell’azienda in generale.

Il GREENRINSING, la presa in giro ad esempio che avviene quando un’azienda cambia di continuo i propri obiettivi di sostenibilità prima di raggiungerli per non farsi scoprire dagli investitori.

Rossana Mauri: Grazie Simona Treré per aver condiviso con noi tante informazioni!

Voci narranti di:

Rossana Mauri e Simona Treré

Musiche di: raccontipodcast.com

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